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Con due recenti Risposte ad interpello (508 del 12.10.2022 e 515 del 15.10.2022) l’Agenzia delle entrate interviene sul regime fiscale applicabile al mining ai fini IVA e imposte dirette.

È particolarmente interessante quanto affermato in tema IVA. L’Agenzia muove dalla premessa secondo cui l’attività di mining (operata in autonomia oppure aderendo ad un pool) non costituisce una prestazione di servizio ai fini IVA.

Ciò in quanto manca un soggetto che possa definirsi “committente”, con la conseguenza che (secondo l’interpretazione dell’Agenzia) non è consentita la detrazione dell’IVA sulle spese sostenute “a monte” per svolgere tale attività.

 

Cosa è il mining

I miner sono software, distribuiti nella rete, che verificano i singoli trasferimenti di moneta controllando, ad esempio, che nel trasferimento di 100 da A a B, A sia effettivamente titolare di 100, in quanto li ha, a sua volta, ottenuti da un dante causa, e così via sino a risalire ad un acquisto a titolo originario (di cui dirò a breve). Il miner si occupa di inserire le operazioni valide in un blocco e di calcolarne l’hash.

 

La proof of work

Un elemento importante del meccanismo sta nel fatto che vi sono una pluralità di miner, i quali vengono posti in competizione tra loro, in quanto l’algoritmo di funzionamento della blockchain bitcoin prevede la soluzione di un problema nella creazione del blocco. L’algoritmo “premia” il miner che è riuscito per primo a creare il blocco, risolvendo il problema, con una determinata quantità di Bitcoin, ed il blocco creato dal miner che ha vinto la competizione viene riconosciuto come valido dai nodi della rete. Per il corretto funzionamento di quest’ultima non è necessario che venga raggiunta l’unanimità dei consensi, ma è sufficiente che la maggioranza (metà più uno) dei nodi concordino sulla versione ufficiale e condivisa della blockchain (quindi: sulla sequenza delle transazioni): il sistema, pertanto, è concepito per funzionare correttamente anche nel caso in cui uno (o più) nodi malevoli ne adottino una versione diversa e alterata, purché non raggiungano la maggioranza.

 

Il miner: prestazione di servizi senza legami

Ebbene, l’Agenzia coglie in questo fenomeno una prestazione “senza legami sinallagmatici”, ossia senza la creazione di alcun vincolo contrattuale tra il miner e la rete. Nella prospettiva comune è difficile immaginare che una qualsiasi attività possa essere retribuita senza la preventiva adesione ad un modello contrattuale (seppure estremamente semplificato) nel quale siano cristallizzati le condizioni alle quali deve essere prestato il servizio e la misura della remunerazione. Così non avviene, tuttavia, nell’ambito del mining svolto all’interno di un meccanismo di consenso distribuito. Qui, infatti, chi decide di svolgere l’attività di miner non ha (necessariamente) di fronte una controparte, ma un meccanismo automatico, che funziona senza l’intervento umano, e che ha ormai perso il legame con il suo autore/creatore (perlomeno in termini giuridico-fiscali, secondo l’impostazione dell’Agenzia). Non esistendo una controparte contrattuale, pertanto, non esiste neppure un soggetto contro il quale il miner potrebbe rivolgersi nel caso in cui, pur essendo maturati i presupposti, non giunga la remunerazione prevista.